Il biglietto per la felicità

Il biglietto per la felicità

C’è una vecchia barzelletta in cui un uomo chiede a Dio ogni giorno di fargli vincere la lotteria. Dopo molti anni di preghiera, ottiene finalmente una risposta dal cielo: “Vienimi incontro”, dice Dio, “compra almeno un biglietto”

Questa storiella fa riflettere sulla ricerca del benessere e su quali comportamenti possono aiutare o ostacolare il raggiungimento degli obiettivi che ci si pone; nei suoi American notebooks (Taccuini americani) del 1851, Nathaniel Hawthorne scrisse che “la felicità, in questo mondo, arriva incidentalmente. Se ne facciamo l’oggetto di una ricerca, ci conduce a una ricerca senza speranza, e non è mai raggiunta”.

Vale la pensa ragionare su un aspetto fondamentale: il fatto che si desideri essere più felici non equivale necessariamente allo sforzo pratico di raggiungere l'obiettivo. Basta pensare a quando capita di lamentarsi del proprio lavoro ma non si cerca di trovarne uno nuovo, in quanto per qualche motivo non si riesce a fare quanto sarebbe necessario per apportare un cambiamento e migliorare la situazione. Non significa che non si possa diventare più felici, ma il raggiungimento dei propri obiettivi, della cosiddetta felicità, richiede sforzi, non solo un desiderio.

Purtroppo a volte può accadere che delle motivazioni inconsce e non consapevoli possano interferire con la messa in pratica di ciò che ci permetterebbe di raggiungere l'obiettivo che si desidera e molto spesso si fatica a cambiare lo stato delle cose: quando siamo felici, siamo invogliati ad agire. L’infelicità spesso ci spinge a rimanere nel nostro bozzolo. Nel momento in cui si è particolarmente tristi si può cercare di fare cose pratiche, come:

  • fare esercizio;
  • chiamare gli amici;
  • coinvolgersi in attività pratiche.

Oltre a ciò, o se questo non fosse possibile, dedicare del tempo alla riflessione sui propri pensieri e desideri può portare a una maggiore capacità di essere performanti e capaci. Spesso però si rischia di confondare il rimuginare con la consapevolezza di sé. Nel primo caso si tratta di ricorrenti pensieri su di sé, senza ricorrere a nuove conoscenze. Molti studi provano che questo può esacerbare i cattivi pensieri e peggiorare la depressione, perché rafforza il nostro status quo emotivo negativo. Al contrario la consapevolezza di sé – prestare attenzione ai nostri stessi processi di pensiero – porta a nuove conoscenze e scoperte. Un recente studio pubblicato negli Stati Uniti dai Proceedings of the National Academy of Sciences ha concluso che l’autocoscienza ci permette di riconoscere le distrazioni e i segnali emotivi e di reindirizzare il nostro pensiero in modo produttivo. Insomma, rimuginare significa essere bloccati, conoscere i nostri processi mentali significa cercare modi di sbloccarsi.

Se vogliamo raggiungere la felicità, il benessere, riflettere sul perché non l’abbiamo e cercare delle informazioni su come raggiungerla è un buon inizio. Ma se non usiamo quelle informazioni, è come se non comprassimo il biglietto della lotteria.

La ricerca della felicità richiede energia intellettuale e sforzo. Quando fare ciò richiede una fatica che sembra essere in quel momento insostenibile, è probabile che ci si senta come "bloccati" e incistati in una situazione che non fa stare bene. Se ci si trova in una situazione di questo tipo è necessario rivolgersi a uno specialista che possa indicare un percorso di sostegno psicologico o psicoterapeutico (a seconda della situazione specifica che si sta vivendo) per capire insieme come modificare gli aspetti che non consentono, come diceva la barzelletta iniziale, di acquistare il biglietto della lotteria (della felicità).

Articolo tratto e adattato da:

How to Have a Happiness Breakthrough - The Atlantic